La fase successiva alla fioritura è l'allegagione: da ogni fiore impollinato si sviluppa infatti un acino. Con l'invaiatura l'uva inizia a maturare: gli acini iniziano quindi a cambiare il colore, passando da un verde a un rosso/nero nel caso di uve rosse e da verde a giallo/verde per le uve bianche. Il contenuto zuccherino degli acini aumenta e diminuisce l'acidità. Il tempo in cui gli acini arrivano a maturazione varia in base alle varietà, infatti possono passare dai 30 ai 50 giorni. Il perfetto equilibrio tra zuccheri e acidi stabilisce la maturazione dell'uva. Tra le prime varietà che raccogliamo c'è il Pinot Grigio mentre il Raboso è l'ultima, in quanto varietà tardiva.
Dopo la vendemmia la vite entra nella fase del riposo invernale e da qui riprenderà poi il nuovo ciclo.
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Successivamente alla fase di germogliamento, c'è la fase di vegetazione, durante la quale le foglie iniziano a crescere e iniziano a svilupparsi i nuovi tralci. Questa fase proseguirà fino ad agosto, periodo in cui il tralcio da verde diventa marrone. A questa fase segue la fioritura. Questa è la fase fenologica più importante e più delicata del ciclo colturale, in quanto da essa dipenderà la quantità di uva che verrà prodotta. La fioritura ha durata variabile, dai 9 ai 21 giorni perché segue un ordine preciso: per prima inizia a fiorire la parte centrale, seguita da quella basale ed in fine le estremità.
Chi ha occasione di passeggiare per i vigneti tra maggio e giugno potrà sentire l’intenso profumo della fioritura delle viti! Tra la fine di marzo e l'inizio di aprile nei vigneti avviene il fenomeno conosciuto come "pianto della vite": avviene cioè la ripresa dell'attività linfatica della vite dopo il periodo di riposo invernale. La linfa infatti da' nuovo vigore alla pianta e va a cicatrizzare il punto esatto in cui il cavo è stato tagliato durante la potatura invernale. Questa fase del ciclo biologico della vite sancisce definitivamente l'inizio del nuovo ciclo: è per questo infatti che bisogna potare le viti entro la metà di marzo. La fase successiva è quella di germogliamento, che avviene quando la temperatura raggiunge lo "zero vegetativo". L'epoca di germogliamento è specifica per ogni vitigno, influenzata però anche dall'esposizione e dall'epoca di potatura della vite. Si ha un germogliamento precoce nelle viti di Raboso, Chardonnay e Glera, un germogliamento intermedio nel Pinot Grigio, Merlot e Cabernet Franc e un germogliamento tardivo nel Cabernet Sauvignon. Questa è una fase molto delicata del ciclo biologico della vite, in quanto se dovesse avvenire un abbassamento delle temperature tale da provocare una gelata, le conseguenze sarebbero sufficienti da provocare la perdita della produzione. Giulia Camerin
Il Raboso è un vitigno autoctono dell'area della Piave; l'attuale zona di produzione comprende i comuni da Conegliano a Vazzola, da Ormelle a Cimadolmo e da Oderzo a San Donà di Piave. L'origine di questo vitigno è molto antica, precedente alla conquista della Gallia da parte di Roma. La prima fonte scritto riguardo al Raboso è Plinio il Vecchio (23-79), il quale parla nella Naturalis Historia di un vino dal colore particolarmente intenso, che richiama il colore della pece. Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente si perde la vocazione vitivinicola in Veneto. Nel XV secolo, con l'espansione della Serenissima Repubblica di Venezia nella terraferma, riprende la produzione e il culto del vino: Venezia inizia a richiedere una quantità sempre maggiore di vino e il Raboso divente il "vin da viajo": oltre ad essere consumato dai patrizi veneziani, veniva esportato anche in Oriente e nel Nord Europa. Agostinetti da Cimadolmo (1597-1682) nei "Cento e dieci ricordi che formano il buon fattore di villa" descrive in modo accurato il Raboso, come aspro, molto strutturato e "rabbioso". Nel 1881 Antonio Carpené nomina il Raboso come la più importante varietà del Veneto Orientale, infatti fino al 1949 è il vino più prodotto in zona, ma dagli anni '60 subisce un drastico calo di produzione, a favore di varietà più richieste dal mercato: ciò ne implica un notevole calo di produzione. Il descrittore che caratterizza il Raboso è la marasca, che seppur con diverse sfumature e intensità contraddistingue tutte le varianti di Raboso prodotti nell'alta e nella bassa Pianura; altri descrittori tipici sono la mora, il lampone e i frutti di bosco in alcuni casi. Il vino si contraddistingue anche per il suo alto contenuto di antociani: quando è giovane ha il tipico colore rosso rubino intenso. Il Raboso è da sempre presente tra le nostre produzioni; sia nella tradizionale versione, corposo, strutturato , dal colore rosso intenso e dai sentori di marasca e frutti rossi e in una variante molto particolare: dal 2016 infatti produciamo il San Martìn, un Raboso vivace, leggermente frizzante, dal colore rosso rubino scarico, ottimo per gli aperitivi e gli antipasti, da servirsi rigorosamente fresco. Giulia Camerin
Nata a fine '800 a Tezze di Piave (TV) per opera dei fratelli Bellussi, la Bellussera è una forma di allevamento tipica della Marca Trevigiana, in particolar modo dell'area a ridosso del fiume Piave. Questa forma di allevamento prevede l'impianto di quattro viti per palo -inizialmente gelsi, sostituiti poi da pali secchi ed infine da pali di cemento-, che vengono fatte crescere lungo il sostegno fino al raggiungimento di un'altezza di circa due metri e con un cordone permanete lungo tre o quattro metri, potato a Sylvoz e inclinato verso l'interfila, seguendo i supporti che danno al vigneto questa particolare forma a raggiera se visti dall'alto. Quest'altezza dal suolo delle viti permette di evitare danni derivanti dalle gelate primaverili e dalle nebbie autunnali. La Bellussera permise la creazione di un vero e proprio eco-sistema, che permetteva coltivazioni integrate grazie al microclima che si creava tra il terreno e le viti, permettendo quindi:
L'abbandono della mezzadria, i nuovi metodi per combattere le malattie e la nuova concezione della viticultura, volta a diminuire la quantità dell'uva prodotta e a una vendemmia meccanizzata, hanno fatto diminuire notevolmente l'impianto a Bellussera. La Bellussera si è sempre dimostrata ottima per la coltivazione del Raboso, che essendo una pianta molto vigorosa necessita di molte cimature e potature lunghe; inoltre è la forma di coltivazione più costante a livello produttivo, implicava una vendemmia a mano, permettendo di sfruttare la vasta manodopera data dall'elevato numero di persone nelle famiglie mezzadrili. Giulia Camerin
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